EMOJI. Una grande invenzione degli anni ’90 di matrice giapponese – come suggerisce il nome – che ha cambiato radicalmente il nostro interagire.
Diverse dalle più vintage emoticon – rappresentazioni tipografiche sul display di un viso ottenute usando la punteggiatura e parte integranti del testo – le emoji sono invece pittogrammi, ovvero delle immagini trattate dal computer come lettere di una lingua non occidentale (come il giapponese).
Ormai, tutti i software con cui abbiamo a che fare ogni giorno, sono in grado di supportare questa particolare simbologia di cui non possiamo più fare a meno. Nel messaggio del buongiorno su Whatsapp, come nello stato su Facebook mentre aspetti il tram, nel selfie su Instagram o nel tweet per commentare il programma televisivo del momento non può mancare l’emoji perfetta, usata per mandare baci, abbracci, dita medie e tanto altro.
Il prossimo 17 luglio si celebrerà un nuovo #WorldEmojiDay, per rendere omaggio all’invenzione dell’informatico Shigetaka Kurita che ha rivoluzionato il nostro modo di comunicare. Dal 1999 – anno della loro creazione – le emoji sono andate incontro a un’evoluzione accelerata: dall’inserimento in Google a Gmail e poi nei sistemi operativi di Apple. Con la loro adozione in casa Jobs e il contemporaneo sviluppo dei social network, la comunicazione si è spostata orizzontalmente dal sempre più obsoleto SMS al web, con Facebook Messanger, Whatsapp e i messaggi diretti di Instagram e Twitter.
La comunicazione, così, è diventata molto più semplice e immediata, costringendo i grandi brand ad uniformare le proprie strategie di marketing a questa rivoluzione linguistica. General Electric, Ikea, Coca Cola, Mentos, Domino’s Pizza, Delta Air Lines e tanti altri colossi multinazionali hanno iniziato a sfruttare questi contenuti figurati, talvolta producendone anche di nuovi, personalizzandoli, impostando intere campagne pubblicitarie esclusivamente sulle emoji.
Inoltre, secondo uno studio pubblicato su Trends in Cognitive Science – la rivista peer review di Cell – condotto dalla cyberpsicologa Linda Kaye, le emoji svelano molto della personalità dei users, andando così a incidere sulle nostre relazioni sociali. Le emoji, nel linguaggio “non detto” della rete, vanno a sostituire i gesti e le espressioni del linguaggio non verbale (le smorfie, il movimento delle mani e la postura) creando terreno fertile al misunderstanding. Per scampare ai tranelli non-linguistici dei pittogrammi, così, è nato l’EmojiWorldBot, un bot Telegram – particolare sistema di risposta automatica sull’app di messaggistica – che mira a diventare il primo dizionario universale di emoji,
permettendo agli utenti di contribuire al glossario giocando e chiedendo di indovinare, guardando solo le faccine, i tag che possono descriverne il loro significato.
Senza timore di essere smentiti, si può dunque affermare che la lingua universale non è più l’inglese, ma quella delle emoji, utilizzate e comprese da oltre il 90% degli utenti della rete.
Se pensate di essere ferrati nella comprensione di questo linguaggio 3.0, correte a googlearvi Pinocchio Emoji, la prima opera italiana interamente tradotta in emoji!
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