Nella splendida cornice di Palazzo Diamanti a Ferrara, fino al 28 febbraio 2016, si celebra il centenario del soggiorno di Giorgio de Chirico (Volo – Grecia, 10 luglio 1888 – Roma, 20 novembre 1978) nella città estense: la rassegna riporta a Ferrara, dopo cento anni, il massimo numero di dipinti mai visti insieme tra quelli realizzati da de Chirico tra il 1915 e il 1918, nel corso della sua permanenza nella città emiliana.
A un importante nucleo di dipinti realizzati da de Chirico negli anni ferraresi, presenti le composizioni ispirate alla pittura metafisica di Carlo Carrà, Giorgio Morandi e Filippo de Pisis e alcuni dei capolavori dei più grandi artisti delle avanguardie europee, da Raoul Hausmann a George Grosz, da René Magritte a Salvador Dalí fino a Max Ernst, allestite in un percorso che conduce il visitatore in un affascinante viaggio tra pittura metafisica, surrealismo, dadaismo e Nuova oggettività.
A segnare un cambiamento radicale nell’opera di de Chirico fu l’arrivo a Ferrara nel 1915, quando, in seguito allo scoppio della prima guerra mondiale, lasciò Parigi e per tre anni e mezzo soggiornò nella città estense per prestare servizio militare. Travolto da un’ondata di emozione di fronte alla bellezza e ai miti rinascimentali della città emiliana, de Chirico dipinse un mondo irreale popolato di meraviglie: piazze fuori dal tempo immerse in tramonti fantastici o stanze segrete dalle prospettive vertiginose fanno da sfondo agli oggetti enigmatici scoperti nelle peregrinazioni tra i vicoli del ghetto, o diventano il palcoscenico su cui recitano manichini da sartoria e personaggi muti e senza volto.
Mentre Parigi era il cuore della modernità, Ferrara è una piccola città di provincia dal glorioso passato e de Chirico deve superare un breve periodo di smarrimento prima di rimettersi all’opera. Non ha uno studio e le tele sono per lo più di piccolo formato. Sull’esempio dei maestri del Quattro e Cinquecento ferrarese la materia pittorica diventa più ricca, spessa e lavorata, dai colori accesi e vibranti. Scorci delle architetture della città si affacciano nei quadri, come nei Progetti della fanciulla (1915) in cui le mura rosse e una delle torri del Castello Estense fanno da sfondo a una misteriosa natura morta con un guanto, dei rocchetti di filo e una scatola di spole.
Piazze, torri, colline e treni scompaiono, protagonisti delle tele sono ora gli oggetti inanimati: carte geografiche mute dai complessi significati, squadre, strumenti da disegno e di misurazione, biscotti e cioccolatini raffigurati all’interno di stanze anguste, piccoli uffici da scritturale le cui finestre affacciate su cieli verde veronese sono l’unica via di fuga dalla monotona vita di caserma.
In Malinconia della partenza (1916) e in Natura morta evangelica I (1916), le rotte di navigazione segnate sulle carte alludono a desideri di evasione e ai viaggi della mente su terre inesplorate. Le mostrine, le piccole bandiere da segnalazione e i gradi da caporale evocano la sua condizione di soldato, mentre i bastoncini di zucchero, i biscotti e i tipici dolci ferraresi che poteva vedere nelle pasticcerie del ghetto sono ironici rinvii alla mai rinnegata golosità che lo accompagnava dall’infanzia (La Révelation du solitaire, 1916; Interno metafisico, 1917).
In alcune composizioni troviamo espliciti richiami alla cultura ebraica ed esoterica, alla cabala e alla sapienza biblica, e torna di frequente un biglietto da visita dall’angolo piegato sul quale è dipinto un grande occhio stilizzato che rinnova un tema della pittura simbolista (L’angelo ebreo, 1916). Verso la fine del 1916 le prospettive delle stanze si allargano e in esse compaiono, come disposte su piccoli palcoscenici, strane scatole o cornici che contengono vedute molto realistiche.
Nell’Interno metafisico con grande officina (1916, Stoccarda), uno dei capolavori di questi anni, de Chirico riproduce una nota fabbrica ferrarese.
Altri dipinti ci mostrano “cartoline ricordo” di stabilimenti termali in spettacolari paesaggi di montagna (Interno metafisico (con sanatorio), 1917), fari arroccati su suggestive scogliere battute dalla tempesta, boschi e foreste, fiumi e monumenti classici (Interno metafisico con faro, 1918, e Interno metafisico con alberi e cascata, 1918).
In queste opere il quadro, luogo della finzione per eccellenza, riproduce in modo otticamente preciso e minuzioso una realtà da tutti riconoscibile, mentre lo spazio nel quale questa realtà si trova rappresentata è del tutto irreale e popolato da oggetti accostati senza alcuna logica apparente.
Il tema del “quadro nel quadro” affascina in modo particolare gli artisti surrealisti che lo ripropongono in chiavi diverse.
Nella Condition humaine (1933, Washington, National Gallery of Art), René Magritte, giocando con l’ambiguità che si viene a creare tra lo spazio reale che si vede dalla finestra e il dipinto sul cavalletto che riproduce fedelmente il paesaggio retrostante, crea un’immagine in cui realtà e finzione finiscono per coincidere.
Nei Piaceri illuminati (1929, New York) Salvador Dalí inserisce tre scatole che contengono altrettanti piccoli quadri iperrealistici e visionari, e ad aumentare l’aura quasi allucinatoria di questo capolavoro, dipinge in primo piano l’ombra di un personaggio esterno alla composizione
De Chirico torna nuovamente al tema del manichino in esterno, che a Ferrara raggiunge i suoi massimi risultati
I quadri risentono dell’atmosfera rinascimentale della città e presentano un chiaroscuro intenso appena ammorbidito da una materia laccata e luminosa. De Chirico rappresenta i manichini come personaggi fatti di stoffa, di latta e di legno, la testa ovoidale è quasi sempre bianca e spesso presenta sulla superficie segni tratteggiati che ricordano le cuciture dei manichini da sartoria e che si incrociano all’altezza della bocca o più spesso degli occhi: sono i simboli del canto poetico, la vista nel passato e nel futuro, oltre il tempo presente, che la sapienza greca attribuiva ai poeti la cui voce è destinata all’eternità.
In Ettore e Andromaca (1917) i due personaggi sono dipinti in una posa aggraziata e patetica che risente della tradizione manierista: qui de Chirico trae spunto dal tema omerico dell’ultimo incontro tra la sposa e l’eroe pronto a partire per la battaglia dalla quale non tornerà, per raffigurare in una chiave romantica un episodio della dolorosa vita quotidiana al tempo della guerra.
Il grande metafisico (1917, collezione privata) è ambientato nella piazza Ariostea di Ferrara: al posto della colonna che regge la statua del poeta si erge un grande agglomerato di oggetti simile a un totem che termina con un busto bianco di manichino visto di spalle. Molti dipinti ferraresi di de Chirico rappresentano oggetti comuni e quotidiani composti in nature morte caratterizzate da un meticoloso realismo. Una delle chiavi di lettura di queste opere è il contrasto dualistico tra una realtà riprodotta meticolosamente e l’ambiente astratto e indecifrabile in cui essa è ambientata. La pittura metafisica è stata, insieme al futurismo, il contributo italiano più importante all’arte europea del primo ventennio del XX secolo, grazie al ruolo cruciale che ebbe per lo sviluppo del dadaismo, del surrealismo, della pittura tedesca degli anni Venti e per gli influssi che in seguito furono decisivi per il Novecento italiano.
[in foto: Giorgio de Chirico, I progetti della ragazza, fine 1915, olio su tela, New York, Museum of Modern Art. Lascito di James Thrall Soby,1979 © 2015. Digital image]
You might also like
More from Archivio
La proposta di Rimske Terme per i ponti di primavera
I lunghi ponti del 25 aprile e del 1° maggio sono da sempre un’occasione per trascorrere qualche giorno di vacanza …
Trytaly: la vera cucina italiana per i turisti di tutto il mondo
Quante volte vi è capitato di viaggiare all’estero e di rimanere delusi dalla cucina del posto? Troppo spesso, infatti, succede di …
The Party Edit by Pronovias: moderna, attuale, all’avanguardia
Pronovias, il marchio leader mondiale nel settore della sposa di lusso, presenta una nuova linea, Pronovias The Party Edit, disponibile …