Quando si pensa alla vasta area costiera di natura vulcanica che si estende dalla città di Napoli fino al Monte di Procida, nota con il nome di Campi Flegrei (l’origine del nome rimanda al verbo latino “flagro” = bruciare, per la presenza dei numerosi crateri vulcanici e fenomeni geomorfologici ad essi connessi), il pensiero corre alle numerose testimonianze archeologiche che l’eccezionalità di questi luoghi ci ha preservato.
L’antica città di Cuma ne costituisce senza dubbio uno degli esempi migliori.
Ancora incerte ad oggi sono le sue origini storiche, sebbene la maggior parte degli studiosi concordi nel porre la fondazione della città nell’VIII secolo a.C. (730 a.C. circa) ad opera di coloni greci calcidesi già presenti nella vicina isola di Pithecussa (odierna Ischia, all’epoca destinata al deposito e alla vendita/scambio di merci), i quali decisero di istituire una vera e propria polis sulla terraferma a cui diedero il nome di Cuma (dal greco Kyme = onda, in riferimento alla forma della penisola su cui sorgeva).
Se, da un lato, poco si conosce dell’origine esatta della prima città greca d’Occidente, nessuna incertezza concerne invece la fama ed il prestigio che in pochissimo tempo la città acquisì in tutta la regione flegrea.
Tra il VII e VI secolo a.C., il dominio di Cuma raggiunse i suoi massimi splendori, grazie alla presenza di baie ed insenature naturali che permettevano un efficace sistema di controllo territoriale basato sulla costruzione di porti-fortezza.
La popolarità e la reputazione di Cuma, da cui partirono i fondatori della stessa città di Neapolis (dal greco = “città nuova”), crebbero a tal punto che gli Etruschi della vicina Capua cominciarono a percepire il pericolo di questa nuova egemonia marittima. Fu così che le maggiori popolazioni italiche del tempo (Dauni, Aurunci, Etruschi di Capua) si allearono tra loro per cercare di contenerne la grandezza, fino ad arrivare alle due storiche battaglie (nel 524 a.C. la prima; nel 474 a.C. la seconda), nelle quali i Cumani sbaragliarono e fermarono i nemici
Curioso è leggere quanto ci tramandano le fonti storiche (di norma sempre “vicine” ai vincitori) su questi episodi: secondo Dionigi di Alicarnasso le forze cumane sarebbero state in grado di sconfiggere un esercito avversario di 500.000 fanti e 18.000 cavalieri, con solo 4.500 uomini e 600 cavalli. Le cifre sono evidentemente falsate, ma è interessante soffermarvisi per cogliere il senso di questa voluta esagerazione a favore di Cuma.
Tuttavia, anche per questa fiorente città il declino non tardò ad arrivare. Occupata dapprima dal popolo sannitico degli Osci, fu assoggettata poco dopo dai Romani che, nel 334 a.C., la dichiararono civitas sine suffragio (città alleata senza diritto di voto), trasformandola così in fedele municipium sottoposto alla giurisdizione di Roma.
Cuma perse il proprio ruolo di egemonia sull’intera area flegrea, ma per questa sua fedeltà ricevette, come ricompensa, il libero impiego della lingua latina nei documenti ufficiali e pieni diritti di cittadinanza.
Le più antiche indagini archeologiche su ciò che rimane della prima colonia greca d’Occidente hanno avuto inizio nel 1606, con alcuni sondaggi nell’area della necropoli, ma solo sul finire dell’Ottocento e ancora di più nel corso del Novecento l’area fu sistematicamente indagata.
All’interno dell’attuale Parco Archeologico si segnalano diversi luoghi degni di nota: l’area dell’Acropoli (città alta) con i resti del Tempio di Apollo e del cd. Tempio di Giove (così chiamato dai primi antiquari che lo riportarono alla luce, sebbene non esistano ad oggi testimonianze concrete di dediche a questa divinità), il cd. Antro della Sibilla, la Crypta Romana, e l’area della città bassa con i suoi monumenti.
Una menzione particolare per l’importanza mitologica che riveste merita senza alcun dubbio il cd. Antro della Sibilla (attualmente non visitabile a causa di verifiche tecniche in corso), una galleria artificiale realizzata nel tufo, lunga 131 m ed alta 5 m, di forma trapezoidale nella parte superiore (stratagemma antisismico utilizzato dai greci) e rettangolare in quella inferiore, la cui datazione appare ancora incerta, sebbene la maggior parte degli studiosi concordi nel collocarla verosimilmente tra il IV e III secolo a.C.
Lungo la parete ovest i Romani vi realizzarono 9 aperture dalla stessa forma trapezoidale per illuminare l’ambiente e fornire un ricambio continuo d’aria. Il luogo riveste un fascino misterioso, quasi mistico, poiché qui, secondo le fonti antiche, avrebbe risieduto la cd. Sibilla Cumana, la sacerdotessa di Apollo nota per i suoi oracoli e vaticini, la quale, ispirata dalla divinità, trascriveva le profezie sotto forma di versi su foglie di palma che il vento proveniente dalle molteplici aperture del luogo si divertiva a mescolare, rendendo così le riposte “sibilline”.
Recenti studi vi hanno voluto in realtà riconoscere una struttura militare con scopo difensivo per la città e per il porto sottostante, arricchita in epoca romana da un sistema di terrazze.
Una funzione militare molto simile era svolta anche dalla vicina Crypta Romana, un tunnel scavato anch’esso nel tufo, realizzato all’epoca di Augusto come collegamento sotterraneo tra il vecchio porto di Cuma ed il nuovo Portus Iulius. L’area, reimpiegata in epoca cristiana come zona di sepoltura, conserva ancora incise lungo le pareti tracce del culto cristiano.
Non meno interessanti appaiono i resti dei monumenti presenti nella città bassa, considerata il centro politico e commerciale di Cuma: il Foro con il Capitolium, le Terme, la cd. Masseria del Gigante, l’Anfiteatro, ed il cd. Arco Felice.
Il Foro si presenta come una piazza rettangolare caratterizzata da un ricco sistema viario e delimitata ad occidente dal Capitolium, un tempio di probabile origine osco-sannitica come attesterebbe la presenza di un’iscrizione in lingua osca rinvenuta in situ, successivamente dedicato alla Triade Capitolina (Giove, Giunone e Minerva) come prevedeva la tradizione romana su modello del tempio presente a Roma in Campidoglio.
A Nord del Capitolium, si segnalano i resti delle Terme del Foro, realizzate secondo il classico schema delle terme romane, con l’alternarsi di ambienti freddi (frigidarium) a zone calde (calidarium), separate da un corridoio di passaggio (tepidarium). Dalle tracce dei mosaici a tessere bianche e nere e dai rivestimenti marmorei ancora rintracciabili sembrerebbe trattarsi di un complesso piuttosto sfarzoso e riccamente decorato.
Proseguendo nella visita non si può tralasciare la cd. Masseria del Gigante, un edificio situato lungo il lato est del Foro che ha subito nel corso dei secoli diversi rifacimenti fino alla sua trasformazione nel 1700 in casa colonica. La struttura, che deve il proprio nome al ritrovamento nelle sue vicinanze dei resti di una colossale statua di Giove successivamente identificata come una delle tre sculture della triade presente nel Capitolium, è stata inizialmente interpretata come sede del Senato cumano, ma recentissimi scavi condotti sotto gli ambienti più moderni hanno invece riportato alla luce resti di un tempio di epoca romana, munito di un cortile porticato, superando così l’interpretazione iniziale.
Un’ultima menzione, non meno degna di interesse meritano l’Anfiteatro, di cui si è conservata quasi interamente la cavea, e l’Arco Felice, ingresso monumentale alla città lungo il lato orientale, della cui costruzione originale datata al 95 d.C. resta sfortunatamente ben poco.
A onor del vero, in conclusione, va detto che quanto di bello e affascinante è giunto fino a noi, oggi purtroppo rischia moltissimo. La maggioranza dei resti archeologici necessita senza dubbio di una manutenzione continua e costante, la sola in grado di preservare dal decadimento e dalla rovina tanta immensa bellezza. Quello che ci auspichiamo è che sempre maggiori controlli ed interventi preventivi possano salvaguardare un patrimonio così ricco e forse ancora poco conosciuto e valorizzato, quale è oggi l’area archeologica di Cuma.
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